Breve storia della ricerca psicologica: dalla Skinner Box ai Neuroni Specchio
di A. Urso
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I neuroni specchio sono una classe di neuroni che si attiva quando un individuo compie un’azione e quando l’individuo osserva la stessa azione compiuta da un altro soggetto. Tra gli anni ‘80 e ‘90 del secolo scorso un gruppo di ricercatori dell’Università di Parma (coordinato da Giacomo Rizzolati) iniziò a dedicarsi allo studio della corteccia premotoria. Avevano collocato degli elettrodi nella corteccia frontale inferiore di un macaco per studiare i neuroni specializzati nel controllo dei movimenti della mano, come il raccogliere o il maneggiare oggetti. Durante ogni esperimento era registrato il comportamento dei singoli neuroni nel cervello della scimmia mentre le si permetteva di accedere a frammenti di cibo, in modo da misurare la risposta neuronale a specifici movimenti. Come molte altre scoperte storiche, anche quella dei neuroni specchio fu dovuta al caso: mentre uno sperimentatore prendeva una banana in un cesto di frutta preparato per esperimenti, alcuni neuroni della scimmia che osservava la scena reagirono. Come poteva essere accaduto, se la scimmia non si era mossa? Fino ad allora si pensava infatti che quei neuroni si attivassero solo per funzioni motorie. Gli sperimentatori pensarono inizialmente che si trattasse di un difetto nelle misure o un guasto nella strumentazione, ma tutto risultò a posto e le reazioni si ripeterono non appena fu ripetuta l’azione di afferrare. La scoperta dei neuroni specchio anche se avvenuta per caso, è stata il risultato di una ricerca condotta in modo molto diverso dall’allora prevalente metodologia d’indagine neurofisiologica. Invece di studiare il contributo ipotetico di una certa parte del cervello ad una data funzione (percettiva, motoria o cognitiva), l’approccio del gruppo di ricerca di Rizzolati era molto più ampio: volevano capire tutte le proprietà funzionali dei neuroni delle regioni motorie della corteccia cerebrale. Volevano capire, ad esempio, se, quanto e come i neuroni motori, quelli cioè che controllano l’esecuzione delle azioni, rispondessero anche a stimoli sensoriali, come quelli tattili, visivi o uditivi.
Fino ad allora prevaleva l’idea di una stretta divisione del lavoro nelle diverse aree cerebrali, caratterizzata da una rigida separazione tra percezione, cognizione e movimento. Giacomo Rizzolatti e il gruppo di ricercatori da lui guidato, viceversa, metteranno in crisi quella visione, dimostrando come azione e percezione sono integrate da molti neuroni motori che rispondono anche a stimoli tattili, visivi e uditivi. Questa integrazione avviene in neuroni che controllano l’esecuzione di azioni, come afferrare oggetti con la mano. Avevano scoperto che alcuni di questi neuroni, denominati poi “neuroni canonici”, si attivano anche in assenza di movimento, durante l’osservazione degli stessi oggetti di cui controllano l’afferramento. Grazie a questo meccanismo di simulazione motoria, l’oggetto visto viene tradotto in uno schema motorio, lo schema normalmente impiegato per afferrarlo. In altre parole scoprono che vedere un oggetto significa anche simularne l’afferramento. L’oggetto in questo modo è percettivamente “fatto proprio” da chi lo guarda, perché viene mappato grazie ad una simulazione motoria, come target potenziale di un’azione ad esso diretta da parte dell’osservatore. Mentre studiavano le proprietà di questi neuroni, si sono successivamente accorti che alcuni di essi non si attivavano durante la visione di oggetti, ma durante la visione delle nostre azioni su quegli stessi oggetti. In seguito decideranno di utilizzare la metafora dello specchio per descriverli: la risposta visiva del neurone rispecchia quella motoria. Lo stesso neurone che controlla l’esecuzione di una propria azione risponde anche all’osservazione della stessa azione eseguita da altri. Il meccanismo di rispecchiamento è certamente alla base dei comportamenti mimetici e di apprendimento imitativo. A questa prima scoperta ne sono seguite poi molte altre. La ricerche successive, condotte da innumerevoli ricercatori in tutto il mondo, hanno dimostrato che analoghi meccanismi di rispecchiamento sono presenti nel nostro cervello anche per le emozioni e le sensazioni. Le stesse aree cerebrali che si attivano quando ad esempio proviamo disgusto o dolore, oppure esperiamo una sensazione tattile, si attivano anche quando vediamo gli altri esperire le stesse emozioni e sensazioni.
Gallese ha introdotto il modello della Simulazione Incarnata per descrivere un meccanismo funzionale di base del nostro cervello che ci mette in relazione con gli altri. In pratica, riutilizziamo le stesse rappresentazioni neurali non linguistiche che presiedono alle nostre azioni, emozioni e sensazioni per riconoscerle negli altri. La simulazione incarnata è però solo uno dei meccanismi alla base della nostra intersoggettività, che è fondata anche su modalità più cognitive e inferenziali di comprensione dell’altro. Probabilmente la simulazione incarnata è il meccanismo più antico da un punto di vista evolutivo ed il più precoce a manifestarsi dal punto di vista dello sviluppo dei singoli individui. Secondo la sua ipotesi, grazie alla simulazione incarnata abbiamo la possibilità di accedere in parte al mondo dell’altro dall’interno. Grazie al riuso di circuiti neuronali che normalmente presiedono alle nostre azioni, emozioni e sensazioni, siamo in grado di comprendere in termini esperienziali le azioni, emozioni e sensazioni degli altri. La simulazione incarnata costituisce insomma un meccanismo di base e cruciale dell’intersoggettività. La novità più radicale della scoperta dei neuroni specchio e dei meccanismi di rispecchiamento poi scoperti nel cervello umano però è un’altra. È la dimostrazione di quanto fondamentale e costitutiva sia la relazione che ci lega agli altri. Anche a livello neurofisiologico c’è una dimensione condivisa: non solo le mie azioni, emozioni e sensazioni sono simili a quelle dell’altro, ma anche la sottostante base neurobiologica è in parte comune. L’altro è per noi anche qualcosa di più e di diverso da un oggetto da comprendere e interpretare. L’altro è un altro “tu”. Parti corporee, azioni o rappresentazioni corporee svolgono un ruolo determinante nei processi cognitivi. Stati o processi mentali sono rappresentati in un formato corporeo. Uno stesso contenuto, a esempio un’azione o un’intenzione, possono essere rappresentati in un formato corporeo o proposizionale. L’idea è che il formato corporeo precede sia filogeneticamente che ontogeneticamente quello proposizionale. Non sappiamo con precisione se il formato proposizionale sia totalmente separato/ separabile da quello corporeo. Ma rimane un dato di fatto che questi differenti formati rappresentazionali consentono di costruire contenuti molto diversificati. Mente e corpo sono due parole che descrivono aspetti diversi ma strettamente intrecciati della nostra natura biologica. La simulazione incarnata ci parla di modalità non linguistiche di relazione intersoggettiva, ma ovviamente, se vogliamo comprendere appieno la natura umana, il linguaggio è imprescindibile. La scoperta dei neuroni specchio ha aperto anche nuove prospettive agli studi sul linguaggio. I neuroni specchio si attivano non soltanto quando si vede compiere un’azione, ma anche quando se ne sente parlare, o quando se ne legge. Gallese insieme al linguista cognitivo statunitense George Lakoff ha proposto anche lo stretto legame tra espressioni linguistiche, corpo e simulazione incarnata. Infatti, anche quando leggiamo metafore a sfondo corporeo – ad esempio a contenuto tattile, come “un carattere ruvido” – attiviamo le aree sensori-motorie che mappano quelle stesse sensazioni, quando le esperiamo in senso letterale. La sua ipotesi del “riuso neuronale” sostiene che utilizziamo meccanismi cerebrali originariamente evoluti per guidare le nostre interazioni col mondo, mettendoli poi anche al servizio di competenze molto più recenti dal punto di vista evolutivo, come quella linguistica. 94 Il primo animale in cui i neuroni specchio furono individuati e studiati è il macaco. In questa scimmia i neuroni specchio sono stati localizzati nella circonvoluzione frontale inferiore (chiamata regione F5) e nel lobo parietale inferiore. Gli esperimenti hanno provato che i neuroni specchio fanno da mediatori per la comprensione del comportamento altrui. Ad esempio, un neurone specchio che si attiva quando la scimmia strappa un pezzo di carta, si attiva anche quando la stessa scimmia ne vede un’altra (o un altro primate) fare lo stesso gesto o anche se solo sente il rumore della carta strappata, senza informazione visuale. Queste proprietà hanno indotto i ricercatori a pensare che i neuroni specchio codifichino concetti astratti per azioni del tipo suddetto (“strappare carta”) sia quando l’azione è compiuta direttamente, sia quando giunge l’informazione che l’azione è compiuta da altri 5 . La funzione dei neuroni specchio nei macachi non è ben compresa, dato che gli individui adulti non sembrano in grado di imparare per imitazione. Esperimenti recenti mostrano che cuccioli di macaco possono imitare i movimenti facciali degli umani solo quando sono neonati e solo durante una finestra temporale limitata (imprinting). Non si sa ancora se i neuroni specchio siano collegati a tipi di comportamento “fine” come questo. Si sa per certo però che nelle scimmie adulte i neuroni specchio permettono loro di capire ciò che un’altra scimmia sta facendo, di riconoscerne l’azione specifica.
Attraverso studi con la risonanza magnetica, si è visto che i neuroni attivati dall’esecutore durante l’azione sono attivati anche nell’osservatore della medesima azione. Questa classe di neuroni è stata individuata nei primati; nelle scimmie i neuroni specchio sono stati localizzati nella circonvoluzione frontale inferiore e nel lobo parietale inferiore. Questi neuroni sono attivi quando le scimmie compiono certe azioni, ma si attivano anche quando esse vedono compiere da altri le stesse azioni. Fogassi e altri7 hanno registrato l’attività di 41 neuroni specchio nel lobo parietale inferiore (IPL) di due macachi rhesus (l’IPL è riconosciuto come parte della corteccia dedicata all’associazione e all’integrazione delle informazioni sensorie). Le scimmie guardarono uno sperimentatore sia afferrare una mela e portarla alla bocca, sia prendere un oggetto e introdurlo in una tazza; 15 neuroni specchio si attivarono vigorosamente nell’osservare l’azione “afferrare per mangiare”, mentre non si registrò nessuna attività neuronale nell’osservare l’azione “prendi e introduci”.
Per quattro altri neuroni specchio l’inverso si dimostrò “vero”: si attivarono in risposta all’azione dello sperimentatore che inseriva la mela nella tazza senza mangiarla. In questo caso l’attività dei neuroni specchio era determinata solo dal tipo d’azione e non dall’aspetto motorio del maneggiare oggetti in un modello comportamentale. Significativamente, i neuroni “scaricarono” prima che la scimmia osservasse il modello umano mentre iniziava la seconda parte dell’atto motorio: portare l’oggetto alla bocca o inserirlo nella tazza. Perciò i neuroni IPL “codificano lo stesso atto (afferrare) in modo diverso a seconda dello scopo finale dell’azione nella quale l’atto è contestuale”. In altri termini essi possono fornire una base neurale per predire, in un altro individuo, le azioni susseguenti ad un comportamento dato e l’intenzione che ne sta all’origine. Più recentemente, altre prove ottenute tramite fMRI, TMS, EEG e test comportamentali hanno confermato che nel cervello umano esistono sistemi simili e molto sviluppati.
Sono state identificate con precisione le regioni che rispondono all’azione/osservazione. Nel 1995, Luciano Fadiga, Leonardo Fogassi, Giovanni Pavesi e Giacomo Rizzolatti dimostrarono l’esistenza nell’uomo di un sistema simile a quello trovato nella scimmia. Utilizzando la stimolazione magnetica transcranica trovarono infatti che nell’uomo la corteccia motoria è facilitata dall’osservazione di azioni e movimenti altrui. Ulteriori indagini sugli esseri umani non solo hanno confermato le attività neuronali sulla base di studi di neuroimmagine, ma hanno anche portato a concludere che tali neuroni sono attivati anche nei portatori di amputazioni o plegie degli arti, nel caso di movimenti degli arti, nonché in soggetti ipovedenti o ciechi: per esempio basta il rumore dell’acqua versata da una brocca in un bicchiere per l’attivazione, nell’individuo cieco, dei medesimi neuroni attivati in chi esegue l’azione del versare l’acqua nel bicchiere.
Data l’analogia genetica fra primati (compreso l’uomo), non è affatto sorprendente che in essi queste regioni cerebrali siano strettamente analoghe. In realtà vi sono importanti evidenze di comuni origini evolutive per ipotizzare che tali somiglianze siano riconducibili, in termini biologici, ad una vera e propria “omologia”. La funzione del sistema specchio è soggetto di molte ipotesi teoriche. Questi neuroni possono essere importanti per la comprensione delle azioni di altre persone e quindi nell’apprendimento attraverso imitazione. Alcuni ritengono che il sistema specchio possa simulare le azioni osservate. Affinando le tecniche di brain imaging (fMRI) è stata eseguita una localizzazione precisa dei neuroni specchio umani. Le aree contemporaneamente attive durante l’osservazione degli atti altrui sono risultate:
1. la porzione rostrale anteriore del lobo parietale inferiore; 2. il settore inferiore del giro pre-centrale; 3. il settore posteriore del giro frontale inferiore; 4. in alcuni esperimenti si osservano attività anche in un’area anteriore del giro frontale inferiore; 5. nel solco temporale superiore; 6. nella corteccia pre-motoria dorsale.
Questo per quanto riguarda l’azione e l’osservazione di movimenti fondamentali, ancora slegati da comportamenti emotivi. Esperimenti condotti da Giovanni Buccino e altri nel 2001 dimostrano che nell’uomo l’attivazione dell’area di Broca e di altre aree in presenza di azioni complesse (afferrare per mangiare, dare un calcio a un pallone, prendere oggetti per ordinarli) è senz’altro collegata al linguaggio in un sistema di “risonanza” più complesso di quello della scimmia. La differenza sostanziale è che il sistema umano dei neuroni specchio codifica atti motori transitivi e intransitivi. Nell’uomo, infatti, non è necessaria una effettiva interazione con gli oggetti: i suoi neuroni-specchio si attivano anche quando l’azione è semplicemente mimata. Anche se il loro ruolo primario rimane quello di comprendere le azioni altrui, il contesto umano è più complesso. Recenti evidenze elettrofisiologiche dirette (registrazioni delle scariche neuronali tramite microelettrodi) hanno mostrato la presenza del sistema specchio nell’uomo in sede parietale e frontale. Nello stesso studio è stata anche trovata la presenza di neuroni specchio in aree non motorie quali l’ippocampo e la corteccia temporale. Nell’uomo è presente un sistema di espressione delle emozioni più complesso che nelle altre specie, per cui la ricerca si allarga anche al campo della conoscenza dei meccanismi sociali, con la prova che il concetto di “individuo” è assai relativo. Il meccanismo della comprensione di azioni compiute dagli altri è stato utile per ampliare il campo di indagine. Gli stessi scopritori dei neuroni specchio hanno dichiarato che proprio la comprensione delle loro caratteristiche di attivazione diretta e pre-riflessiva determina intorno agli individui l’esistenza di uno spazio d’azione condiviso da altri individui, per cui si originano forme di interazione sempre più elaborate. In campo evolutivo evidentemente la formazione di questa capacità di interazione è avvenuta contemporaneamente all’interno dell’organismo biologico come al suo
esterno, e questo ci aiuterebbe a capire dove indirizzare le ricerche future, dato che proprio le interazioni si basano su sistemi di neuroni specchio sempre più complessi, articolati e differenziati man mano che li si studia. La capacità di parti del cervello umano di attivarsi alla percezione delle emozioni altrui, espresse con moti del volto, gesti e suoni; la capacità di codificare istantaneamente questa percezione in termini “viscero-motori”, rende ogni individuo in grado di agire in base a un meccanismo neurale per ottenere quella che gli scopritori chiamano “partecipazione empatica”. Dunque un comportamento bio-sociale, ad un livello che precede la comunicazione linguistica, il quale caratterizza e soprattutto orienta le relazioni interindividuali, che sono poi alla base dell’intero comportamento sociale. Gli ultimi esperimenti hanno confermato che di fronte al comportamento dei soggetti, i neuroni specchio hanno manifestato la loro presenza in aree del cervello più ampie di quelle intraviste all’inizio. Di volta in volta hanno presentato un’architettura e un’organizzazione cellulare diverse, semplice o sofisticata a seconda dei fenomeni emotivi che provocavano la reazione neurale.
Perciò, se lo studio precedente del sistema motorio aveva portato la ricerca ad appiattirsi sull’analisi neurofisiologica dei movimenti più che dei comportamenti, individuando “semplicemente” i circuiti neurali preposti al nostro rapporto con le cose, la scoperta dei neuroni specchio e lo studio della loro natura profonda ci permette di fare un salto nella conoscenza del cervello, di gettare le basi per indagare i processi neurali responsabili dei rapporti fra le persone. In pratica si sta scoprendo il complesso meccanismo biologico alla base del nostro comportamento sociale. L’intensità della scarica dei neuroni specchio è significativamente diversa durante l’esecuzione dell’atto rispetto all’osservazione dell’atto. Perciò i neuroni specchio sono in gradi distinguere fra agente ed osservatore. Alcuni neuroscienziati considerano la scoperta dei neuroni specchio una delle più importanti degli ultimi anni nell’ambito delle neuroscienze.
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